Intervista all’onorevole Giulia Pastorella – deputata, vicepresidente di Azione
(A cura di Alessandro Longo, giornalista, esperto di tecnologia)
Giulia Pastorella (Azione) è tra i firmatari di un una proposta di legge – la prima in Italia – sui datacenter. Ed è una dei politici più attenti all’ambito dell’innovazione.
Onorevole, partiamo dalle basi: perché l’Italia ha bisogno di una legge sui datacenter?
Perché nonostante siano infrastrutture non nuove e sempre più richieste da operatori e da aziende che hanno bisogno di potenza computazione, i datacenter non esistono nella normativa italiana.
Non esistono? Addirittura?
Già: non c’è un codice ateco, non sono previsti nella normativa fiscale, urbanistica, ambientali.
E perché è un problema, nella pratica?
Per tanti motivi.
Certe destinazioni d’uso che i comuni scelgono per questa infrastruttura, basandosi su norme non pensate per i datacenter, prevedono ad esempio la necessità di avere tanti parcheggi. Oppure: il caos della burocrazia, non si sa chi deve rilasciare l’autorizzazione per inizio lavori. Il Comune? Il ministero? Quale? Ne vengono tantissimi ritardi per l’autorizzazione.
Abbiamo qualche stima sui ritardi?
L’attesa media è molto più lunga che nel resto d’Europa, a quanto mi raccontano: cinque anni.
Fa ridere, cinque anni per un datacenter, nel 2025
(Ride) Sì, è un tempo lunghissimo, lunghissimo…
E non è finita. I gruppi elettrogeni dei datacenter sono previsti nella normativa ambientale come se fossero sempre accesi. Invece com’è noto si attivano solo in caso di emergenza. Ne deriva che è richiesta una lunga e pesante valutazione di impatto ambientale.
Uno degli impatti di questa confusione è che anche la popolazione ha un’idea distorta. Si comincia a sviluppare una sindrome nimby, dove le comunità non conoscendo la specificità dei datacenter cercano di rallentarne la costruzione, come accaduto nel Torinese e nel Milanese.
Quali sono quindi gli obiettivi di una prima norma adatta ai datacenter?
Obiettivo ultimo: iter autorizzativi chiari e unici, livelli di competenza definiti, tempistiche certe. Assicurare lo sviluppo sostenibile di queste infrastrutture. Nella legge suggeriamo di usare aree industriali dismesse, ex centrali per il carbone. I datacenter possono essere anche un’opportunità per rigenerare alcune aree.
Suggeriamo inoltre l’uso di energie rinnovabili, l’autoproduzione dell’energia; il riutilizzo laddove possibile del calore di scarto.
Più in generale che c’è in ballo?
Il nostro Paese è il crocevia del mediterraneo. Già vive questo ruolo con il boom dei cavi sottomarini, che però si completano con i datacenter sul territorio, dove ci sono miliardi di euro di potenziali interessi economici.
La norma può sbloccare questi miliardi, facendo ordine. Le nostre proposte non sono scorciatoie, attenzione. Ma dobbiamo far sì che l’investitore straniero o nostrano sappia cosa aspettarsi, dalla costruzione di un datacenter in Italia.
I sindaci hanno richieste da investitori importanti, per la creazione di queste strutture, ma ci dicono che sono costretti a muoversi su un ghiaccio molto sottile. Si inventano escamotage per classificare l’attività e così ricevere investimenti sul territorio, con vantaggi sull’occupazione e il bonus di elementi accessori offerti dagli investitori. Come parchi giochi, piste ciclabili, ristrutturazioni di vecchie ville in parchi comunali.
I sindaci ci tengono quindi ad accoglierli al meglio, senza incorrere in errori.
Obiettivo di una legge che faccia ordine è anche dare una maggiore uniformità nella diffusione dei datacenter sul territorio. Grazie a una normativa nazionale che fissi iter autorizzativi uguali in tutte le regioni. Già ora il mercato sta cercando sbocchi diversi da Milano, per costruire le strutture.
C’è anche una questione di sovranità nazionale?
È un tema collegato ma non è il focus di questa legge. Non abbiamo inserito la necessità di avere dati o infrastrutture italiane. Certo, se non hai datacenter sul territorio perché le norme sono d’ostacolo, sarà difficile mantenere dati in Italia.
In che rapporto vi ponete con la normativa europea?
Un aspetto interessante è che la legge comunitaria non si occupa di aspetti autorizzativi, ogni Paese sta andando per conto proprio, in ordine sparso. Anche per questo motivo l’Italia deve restare al passo, con le norme di semplificazione.
Alcuni commenti alla proposta sono critici. Si paventa il rischio di favorire solo gli investimenti di grandi operatori esteri. Come tutelare gli attori italiani, magari piccoli, alcuni dei quali già hanno datacenter?
No, regole chiare favoriscono tutti. Anzi, soprattutto i piccoli che non hanno le schiere di avvocati in grado da districarsi nel caos delle norme attuali.
La legge poi non discrimina tra grandi e piccoli datacenter e facilita anche potenziamento delle attuali infrastrutture. Un articolo della legge parla proprio dell’importanza di incentivare datacenter esistenti. Ossia: non costruiamone nuovi se ce ne sono già, poiché sono infrastrutture energivore e impattanti. Proprio il contrario di quello che dicono le critiche.
È vero che nell’attuale legge sono previsti incentivi fiscali, che hanno causato polemiche da parte di chi ha già costruito; ma io avevo chiesto di eliminarli con un emendamento, poi bocciato, perché è un settore sano che non ha bisogno di soldi pubblici per crescere.
Veniamo appunto a un aspetto ancora poco chiaro: l’iter della legge
Già: la commissione bilancio alla Camera ha detto che non ci sono le coperture per questi incentivi e così dovremo riportare il testo alla commissione originaria, quella Trasporti, per eliminarli. A quel punto potremo portare in Aula a ottobre. Nel frattempo però l’Esecutivo (Mimit) si è mosso, ha fatto una consultazione e si prepara a fare un decreto su aspetti ambientali e autorizzativi.
Una mossa che potrebbe vanificare il nostro lavoro. L’incognita è se ci sarà una collaborazione con il Governo oppure no.
È un tema che fa gola a molti, ci sono dietro miliardi di business potenziale. Vedremo chi se lo vorrà intestare. Resta il paradosso di un Governo che ha voluto fare prima la legge sull’AI e non quella sulle infrastrutture abilitanti, i datacenter.