Negli ultimi mesi si è aperto quello che potrebbe essere ricordato come uno spartiacque per l’infrastruttura digitale italiana: il Parlamento ha messo mano a un disegno di legge che finalmente tenta di dare ai data center uno statuto normativo proprio, togliendoli dall’ombra delle etichette “impianto industriale” o “opera infrastrutturale generica” e, per quanto ci riguarda, riconoscendone l’essenza strategica per l’ecosistema Internet nazionale.
La proposta di legge C. 1928, delega al Governo per organizzazione, potenziamento e sviluppo tecnologico dei “centri di elaborazione dati”, mira a colmare un vuoto regolatorio ormai insostenibile: l’Italia è sempre più attrattiva per gli investitori grazie alla sua posizione al centro del Mediterraneo, alla spinta dei servizi cloud e all’AI, ma vincoli locali e burocrazia rischiano di farci perdere occasioni. Secondo l’osservatorio del Politecnico di Milano si stimano investimenti nel settore di oltre 15 miliardi nel triennio 2023-2025, una cifra considerevole.
Per comprendere l’urgenza basta guardare al caso Data4 di dieci anni fa: i tecnici comunali si trovarono senza riferimenti normativi e dovettero adattare regole di altri settori in modo creativo. Oggi, dopo oltre cento data center costruiti, il problema persiste.
La mancanza di regole ha creato un paradosso: la maggior parte degli investimenti si è concentrata in Lombardia, l’unica regione con linee guida specifiche. Sherif Rizkalla, presidente dell’IDA (Italian Datacenter Association), ha sottolineato: “In Lombardia si possono ottenere il permesso di costruire e le autorizzazioni ambientali in un anno, a Roma si arriva fino a quattro o cinque anni. Facciamo prima a investire al Nord che altrove. Stiamo spingendo con le istituzioni per avere un quadro normativo semplice, veloce e trasparente.”
Nel testo approvato dalla Commissione Trasporti e Telecomunicazioni, firmatari gli onorevoli Pastorella, Centemero, Amich C., Ascani e Iaria, il data center viene definito come struttura fisica entro cui operano macchine, connettività, stoccaggio e servizi digitali. Il legislatore intende delegare al Governo l’adozione, entro sei mesi, di decreti che stabiliscano un codice ATECO dedicato, procedure autorizzative semplificate, requisiti di sicurezza, connessione prioritaria alla rete elettrica e criteri ambientali. È un tentativo di standardizzare ciò che finora è rimasto disomogeneo sul territorio.
Nel frattempo il MASE lavora al “Decreto Energia” con norme già operative: una procedura unica per autorizzare nuovi data center e ampliamenti, riconoscendoli come infrastrutture strategiche e con ARERA coinvolta nella regolazione delle connessioni elettriche. Nella bozza, i data center vengono classificati secondo una scala dimensionale dall’hyperscale ai micro-edge, prospettando un futuro fatto non solo di grandi campus, ma anche di infrastrutture vicine all’utente finale.
La differenza, come sempre, la faranno i decreti attuativi. Se il procedimento unico resta astratto e gli enti locali mantengono discrezionalità, torneremo alla solita giungla burocratica e se i tempi non saranno vincolanti, basterà un ritardo per bloccare i progetti.
Il nodo cruciale, come si sarà capito, è l’energia: la sola autorizzazione non serve se la rete non ha capacità residua. I decreti dovranno prevedere fondi per potenziare linee e interconnessioni. Proprio la questione degli oneri ha già causato uno stop alla Camera: l’attuale testo prevede incentivi pubblici senza copertura finanziaria. Di qui la necessità di emendare, come ha spiegato l’onorevole Giulia Pastorella in un’intervista rilasciata all’ Osservatorio Namex.
Servono KPI obbligatori, PUE, limiti alle emissioni, consumo idrico, recupero termico, altrimenti la sostenibilità resta retorica. Occorre inoltre richiamare sin dall’inizio le normative europee: cybersecurity, interoperabilità, NIS2, per evitare zone grigie regolatorie.
Il dibattito sulla proposta di legge ha fatto emergere una spaccatura nell’ecosistema.
I grandi costruttori e investitori internazionali, rappresentati da IDA, spingono per questa normativa, evidenziando come l’assenza di regole freni investimenti miliardari. “Gli investitori fanno i calcoli velocemente: se la mancanza di una normativa nazionale fa perdere tempo si rivolgono ad altri paesi”, ha dichiarato Pastorella. “Siamo in competizione con l’Europa e non possiamo permetterci di perdere opportunità. Questo non è un settore che ha bisogno di aiuti e soldi, ma di favorire gli investimenti.” Per IDA, il sud Italia ha un potenziale enorme, spazi da convertire, energie rinnovabili, connettività col Mediterraneo, ma tutto resta vincolato dall’assenza di norme.
Sul fronte opposto, AIIP, l’Associazione Italiana Internet Service Provider, esprime timori che procedure semplificate e status privilegiato possano favorire principalmente gli hyperscaler internazionali, marginalizzando gli operatori italiani. Antonio Baldassarra, CEO di Seeweb, ha posto la questione in termini netti: consumo di territorio ed energia con importanti costi per la collettività a fronte di pochi posti di lavoro creati, deroghe che rischiano discriminazioni e marginalizzazione delle imprese tecnologiche italiane a favore dei big globali. “L’impresa tecnologica italiana, sono ormai anni, anzi decenni, che si muove in un’ottica di limitazione del danno”, ha detto, aggiungendo: “Ora abbiamo deciso di favorire i nuovi ‘palazzinari tecnologici’ con l’aggravante che non sono più nemmeno romani.”
È un dibattito cruciale: come evitare che la semplificazione favorisca solo chi ha risorse ingenti? Come garantire che gli operatori italiani, che hanno costruito l’infrastruttura del Paese, non vengano penalizzati? La vera sfida sarà scrivere decreti attuativi che non siano né protezionisti, né sbilanciati verso i grandi player. Un ecosistema resiliente deve includere sia hyperscaler internazionali sia operatori italiani di dimensioni anche piccole. Saranno loro i principali attori degli edge data center.
In questo quadro, la posizione di Namex è chiara. Il CEO Maurizio Goretti, ha sottolineato: “Mi sono reso conto, in questi ultimi mesi intensi di incontri e viaggi, che il nostro Paese sta vivendo un momento probabilmente storico per la crescita del suo ecosistema Internet. L’Italia si sta finalmente dotando di una infrastruttura all’altezza dei più importanti Paesi Europei e lo sta facendo con caratteristiche che valorizzano le sue prerogative: un Paese che funge da crocevia al centro del Mediterraneo.” E ancora: “La necessità di basse latenze per alcune applicazioni ed il ricorso all’Edge Cloud spinge verso datacenter edge. Nasce un nuovo e più importante ruolo per gli IXP che diventeranno sempre di più Edge ovvero capillari e vicini all’utente finale.”
Se il legislatore saprà fare sintesi, l’Italia può diventare l’ hub digitale del Mediterraneo e per di più competitivo. È in gioco non solo la crescita del settore, ma la possibilità di rendere l’Italia un nodo centrale tra l’Internet europea e quella di Africa e Medio Oriente.
— Di Christian Cinetto, Responsabile Comunicazione e contenuti di Namex